domenica 24 aprile 2011

Motivazioni umanitarie e ambientali della scelta vegan



In tutto il pianeta, quasi un miliardo di esseri umani, soprattutto bambini, soffre la fame e 40.000 muoiono di fame ogni giorno. La fame nel mondo è un argomento scomodo da affrontare, perché, già oggi, ci sarebbe abbastanza cibo per sfamare tutti.

«La terra ha abbastanza per le necessità di tutti,
ma non per l'avidità di pochi.»
- Gandhi -

La fame nel mondo non è causata dalla mancanza di cibo - le produzioni attuali di cereali e legumi sono più che sufficienti - bensì dalla sua disomogenea distribuzione, dovuta a problemi di natura politica ed economica, nonché dagli enormi sprechi di risorse, provocati dall’allevamento intensivo finalizzato alla produzione di cibo animale.


Trasformare prodotti vegetali in prodotti animali, anziché utilizzare queste risorse direttamente per il consumo umano, è una delle maggiori cause di spreco e di inquinamento, cui contribuiscono soprattutto i paesi industrializzati.

«Rinunciare alla carne inoltre è per me anche una forma di solidarietà e responsabilità sociale. In un mondo che ha fame, il consumo di carne costituisce uno spreco enorme: se oltre 820 milioni di persone soffrono la fame è anche perché gran parte del terreno coltivabile viene riservato al foraggio per gli animali da carne. I prodotti agricoli a livello mondiale potrebbero essere sufficienti a sfamare tutti, se non fossero in gran parte utilizzati per alimentare gli animali da allevamento.» 
- Umberto Veronesi –

Gli animali da allevamento consumano, infatti, molte più calorie, ricavate dai mangimi vegetali (composti da cereali e legumi appositamente coltivati), di quante ne producano sotto forma di carne, latte e uova, perché la maggior parte di esse serve semplicemente a sostenerne il metabolismo, anziché convertirsi in tessuti commestibili; in altre parole, essi sono del tutto inefficienti nel convertire alimenti vegetali in alimenti animali destinati all’alimentazione umana:     un ettaro di terreno assegnato all’allevamento bovino rende in un anno 66kg di proteine animali, contro i 1848kg di proteine vegetali (28 volte di più!), che si otterrebbero adibendo lo stesso terreno alla coltivazione della soia per il nutrimento umano; analogamente, riguardo la conversione da cereali a proteine animali, si calcola che, mediamente, per produrre 1 kg di carne servano 15 kg di cereali.



Per non parlare del consumo di energia e di acqua. Si stima che il 60% circa dell’energia consumata sul pianeta, ottenuta in gran parte dai combustibili fossili - petrolio e carbone - inquinanti, venga utilizzata dall’industria alimentare e che la produzione di alimenti animali ne richieda di più in assoluto: per produrre 1 caloria di proteine partendo dal grano vengono spese 2.2 calorie di combustibile fossile, mentre per i cibi animali ne servono, in media, 25 di calorie, cioè 11 volte di più!
L’allevamento intensivo di animali comporta un enorme consumo anche di acqua potabile: il 70% dell'acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall'agricoltura, i cui prodotti servono in gran parte per nutrire gli animali d'allevamento; la produzione di cibo animale richiede un quantitativo di acqua molto maggiore della produzione di cibo vegetale: per produrre 1kg di carne di manzo si sprecano 100.000 litri d’acqua, mentre per 1kg di frumento ne occorrono solo 900, per 1kg di soia 2.000 e poco meno per 1kg di riso. Secondo il settimanale Newsweek, per produrre 5kg di carne bovina, che non bastano nemmeno a coprire il consumo settimanale di una famiglia media americana, serve tanta acqua quanta ne consuma la stessa famiglia in un anno!


L’acqua è utilizzata non solo per coltivare i foraggi e abbeverare gli animali, ma anche per pulire le stalle, i macelli e, nel caso della produzione di latte, le sale di mungitura e i relativi macchinari. E questo, nonostante oltre un terzo della popolazione mondiale non abbia a disposizione una quantità adeguata di acqua potabile.


Oltre ai grossi sprechi di risorse, fra le conseguenze dannose per l’ambiente dell'allevamento intensivo, si annoverano anche l'inquinamento del terreno e delle acque, la produzione di gas serra, la deforestazione, il depauperamento del terreno e l'impoverimento della biodiversità.


Gli allevamenti intensivi provocano un grave inquinamento del terreno e dell’acqua, sia chimico, a causa dell’enorme impiego di fertilizzanti e pesticidi per la coltivazione del foraggio, sia organico, a causa delle deiezioni animali, le quali vengono scaricate nel terreno e nelle falde acquifere in quantità tali – gli allevamenti italiani producono annualmente oltre 10 milioni di tonnellate di deiezioni animali, mentre quelli americani oltre un miliardo - che l’ambiente circostante non è in grado di smaltire e che non possono essere eliminate nemmeno con l’ausilio di depuratori, già dimostratisi inefficaci nel risolvere il problema. 




I composti azotati presenti nei fertilizzanti e nelle deiezioni animali, in particolar modo ammoniaca - almeno l’80% delle emissioni di ammoniaca derivano dall’allevamento – e nitrati, sono tra i diretti responsabili degli ormai tristemente noti fenomeni delle piogge acide, che causano gravi danni alle foreste e ai suoli di tutto il mondo, e dell’eutrofizzazione delle
acque, un’abnorme proliferazione di alghe e fitoplancton, i quali, decomponendosi, portano a una drastica riduzione del contenuto di ossigeno e al conseguente degrado dell’ecosistema acquatico per asfissia.


Va poi detto che l’allevamento intensivo ha profondamente mutato l’alimentazione degli animali e, di conseguenza, la composizione chimica delle loro deiezioni, per cui esse sono caratterizzate, da un lato, da un basso contenuto di sostanza secca e, dall’altro, da un alto contenuto di inquinanti, come nitrogeno, fosforo - che contribuisce anch’esso all’eutrofizzazione - metalli pesanti (zinco e rame), residui di antibiotici e ormoni, che sono somministrati artificialmente agli animali d’allevamento e che possono raggiungere nel terreno concentrazioni notevoli, al limite della fitotossicità.                      
I microrganismi che si trovano nelle deiezioni animali, inoltre, possono essere molto pericolosi per la salute umana; il rischio di un aumento dell’incidenza di infezioni, dovute a microrganismi patogeni contenuti nelle deiezioni animali, è estremamente concreto, come dimostrano i dati epidemiologici relativi all’incidenza - 5 volte superiore alla media nazionale! - della salmonellosi nella provincia di Forlì, una delle zone in cui l’allevamento intensivo è maggiormente praticato.


Un altro aspetto fortemente negativo dell’allevamento, poco conosciuto, è la sua incidenza sull’effetto serra; esso contribuisce in maniera rilevante all’innalzamento globale della temperatura, innanzi tutto, a causa del suo enorme bisogno di energia, in gran parte prodotta con combustibili fossili: per produrre la quantità di carne consumata in un anno da una famiglia americana media di 4 persone, è necessario utilizzare 1170 litri di combustibile, con il conseguente rilascio nell’atmosfera di 2.5 tonnellate di anidride carbonica, che è la quantità all’incirca emessa in 6 mesi da un’automobile di media cilindrata; in secondo luogo, perché implica una notevole serie di attività inquinanticoncernenti soprattutto il trasporto e laconservazione dei prodotti di origine animale; infine, perché contribuisce, direttamente e in maniera rilevante, all’emissione di gas serra, a causa dei gas prodotti dal sistema digerente degli animali ed emessi per flatulenza ed eruttazione dagli stessi.


A questo proposito, la FAO ha reso noto che il settore zootecnico è responsabile del 18% delle emissioni totali di gas serra dovute alle attività umane nel mondo (35-40% delle emissioni di metano
                              
a cura del Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione (NEIC)

che è decisamente più dannoso dell’anidride carbonica, dato che una sua molecola cattura oltre 25 volte più energia solare di una molecola di CO2, e 65% delle emissioni di ossido di azoto, che è circa 300 volte più dannoso dell’anidride carbonica per il riscaldamento globale): una percentuale maggiore di quella dovuta all'intero settore dei trasporti!

Uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Environmental Science and Technology” da due ricercatori della Carnegie Mellon University, che si occupano di ‘consumo sostenibile’, mostra, in generale, che l’impatto sull’ambiente e sul clima delle scelte di consumo dei singoli individui è dovuto principalmente al cibo che ciascuno sceglie di mangiare e, in particolare, che la scelta di consumare solo prodotti locali, la cosiddetta ‘spesa a chilometri zero’, di cui ultimamente si parla tanto, ha un’incidenza limitata sulla riduzione delle emissioni di gas serra, mentre, su di essa, è molto più impattante la scelta di consumare solo cibi vegetali, consentendo un risparmio fino a 8 volte maggiore!

«Non mangiare carne, va’ in bici, sii un consumatore frugale - ecco come fermare il riscaldamento globale.»
- Rajendra Pachauri, premio Nobel e direttore dell’IPCC, il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite -


Un ulteriore contributo degli allevamenti intensivi all’effetto serra proviene dalla deforestazione, che è un altro aspetto, anch’esso poco conosciuto, del loro impatto ambientale: le foreste pluviali vengono abbattute non tanto per il legname, com’è credenza comune, quanto per ottenere terreni da adibire alla coltivazione di mangimi oppure pascoli per l'allevamento di bovini, destinati a fornire carne da esportare nei paesi più industrializzati, e il 20% dell’anidride carbonica emessa in atmosfera è prodotta dalla combustione del legname derivante da queste operazioni di disboscamento.



Studi scientifici hanno dimostrato che, per produrre un solo hamburger, si abbattono 5 metri quadrati di foresta tropicale.

http://www.saicosamangi.info/download/pieghevoleImpAmb.pdf

Attualmente, circa il 70% della foresta Amazzonica è occupata da pascoli per il bestiame, con la conseguente scomparsa della sua ricca e unica biodiversità; secondo l’ultimo rapporto FAO, il 10% delle specie protette rischia l’estinzione per cause riconducibili direttamente agli allevamenti intensivi.

La conseguenza della deforestazione e del successivo sfruttamento intensivo dei terreni adibiti a pascolo è la loro desertificazione: a causa dell’eliminazione della vegetazione naturale, il suolo è, infatti, esposto all’azione diretta degli agenti atmosferici, i quali rapidamente spazzano via l’humus, che ne costituisce la parte fertile; inoltre, l’eccessiva concentrazione di capi di bestiame, che compattano il suolo con gli zoccoli e strappano la vegetazione erbacea, fa sì che il terreno non sia più in grado di trattenere l’acqua piovana, la quale concorre a trascinare via l’humus.




Nell’ultimo rapporto diffuso dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, pubblicato il 2 giugno 2010, gli scienziati evidenziano un rapporto strettamente proporzionale tra la dieta mondiale e i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta, sottolineano come i prodotti animali abbiano un impatto sull’ambiente e sulla fame nel mondo nettamente superiore rispetto ai prodotti vegetali e mettono in guardia riguardo ai rischi della prospettiva che, all’incremento, tuttora in corso, della popolazione mondiale, corrisponda un parallelo aumento dei consumi dei prodotti di origine animale; secondo gli studiosi questa prospettiva avrebbe conseguenze ambientali devastanti, prevenibili solo con un drastico cambiamento delle abitudini alimentari mondiali, consistente nella rinuncia all’utilizzo, da parte di tutti, dei prodotti animali





Testi consultati

Gli allevamenti, i trasporti e il vegetarismo  OIPA
L’idea Vegetariana” mensile n.196 dell’Associazione Vegetariana Italiana
Riflessioni sul benessere animale e le problematiche ambientali connesse” Tesi di laurea triennale di Eva Chiara Carpinelli


Link consultati























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